icerbox Erdogan citta by Unknown

autore:Unknown
Format: epub

UN VIAGGIATORE NEL PAESE DEI MORTI

Gli abitanti delle favelas non chiamano favela il posto in cui vivono, così come i pellerossa non si definiscono pellerossa. Con un’espressione diretta, senza giri di parole la chiamano morro, collina. Morro in portoghese significa al tempo stesso «muoio». Un esempio dell’ironia diabolica della città o uno slittamento linguistico?

La svogliata guida del Viaggio al Paese dei Morti era una bellezza nera, nata e cresciuta a Vigario Geral (la favela che ha acquisito una fama mondiale per lo spaventoso massacro del 1994); studentessa universitaria, membro del Partito comunista, cattolica osservante. Maria Theresa aveva fatto passare dal Fiume Sotterraneo la gringa che bruciava di curiosità, e i quattro carioca che avevano accettato di partecipare a quel viaggio solo perché non avevano avuto il cuore di lasciarla da sola, altrimenti non avrebbero messo piede in una favela in tutta la loro vita.

I labirinti insidiosi, miserevoli, impenetrabili del Paese dei Morti... Un’arrampicata di un’ora da spezzare il fiato, attraverso corridoi e tunnel larghi quanto il braccio d’un uomo, saltando di terrazza in terrazza, di pietra in pietra... Case dallo stucco scrostato che ricordavano un volto traforato da pustole e foruncoli; baracche inclinate che sembravano sciogliersi al sole; capanne di canne e stecchi appartenenti a un’epoca difficile da stabilire... Ogni cosa era funzionale, intricata, addossata a un’altra e brutta all’inverosimile. Come una scenografia teatrale sul punto di crollare; odore di fango e fogna, odore di marciume. Si percepiva l’agonia di una creatura senza nome tra le ombre. Era forse una tragedia tramandata attraverso le epoche di generazione in generazione. Forze oscure, incubi, timori paralizzanti, battaglie sanguinolente, tremiti pericolosi...

Una sentinella ogni cinquanta metri. Soldati semplici di Commando Vermelho, guardiani dell’Ade di nemmeno sedici anni... Con gli occhi di un uccello rapace gigantesco sempre alle loro spalle... Indossano imponenti catene d’oro, orologi; ai piedi scarpe sportive come tombe infantili; le magliette di Bob Marley nascondono le chiavi che aprono loro tutte le porte che gli sono state chiuse in faccia dalla vita; pistole. Si vestono come stelle del rap, si danno arie da gangster di Hollywood e muoiono come mosche. Senza neanche comprendere che i veri abitanti del ghetto, i veri gangster sono loro.

Erano stati invitati alla festa dei «Quindici anni» di una famiglia di operai riservata, molto religiosa. La ragazza, che sembrava già madre di due figli, era avvolta nel drammatico vestito bianco neve della comunione. La gonna vaporosa, le maniche a sbuffo, la sottoveste in merletto, le scarpette di lino a punta e tacchi alti, una corona di fiori finti in testa... Le donne, vestite di abiti sgargianti come si fossero rovesciate addosso barattoli di vernice, si erano radunate attorno a una torta tutta fiori e rose, si mettevano in posa davanti al fotografo ingaggiato per la serata per la quale non era stato lesinato alcuno sforzo. C’era chi si attaccava sul volto il più vuoto e stolto dei sorrisi, chi invece si sfilava la maschera di allegria che era costretto a portare per tutta la vita e di fronte all’obiettivo ritrovava la sua vera identità, appesantita, triste, esausta.

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